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 Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Matera-Irsina, chiesa di San Vincenzo de' Paoli - Scheda completa 

San Vincenzo de' Paoli

Matera, villaggio La Martella

24/08/2011
La storia della chiesa parrocchiale di San Vincenzo de' Paoli è intrinsecamente legata della costruzione del borgo rurale di La Martella, promosso dall'UNRRA-CASAS (United nations relief and rehabilitation administration - Comitato amministrativo soccorso ai senzatetto), ideato come villaggio modello a 7 km dal capoluogo, realizzato per accogliere gli abitanti dei Sassi di Matera in occasione delle operazioni di risanamento (legge 17.5.1952) e nel quadro della Riforma Fondiaria.
Dopo gli studi preliminari della missione statunitense dell'Economic Cooperation Administration (Piano Marshall) e le iniziative di Adriano Olivetti e dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, la redazione del progetto del borgo viene affidata nel 1951 dall'UNRRA-CASAS al gruppo di Luigi Agati, Federico Gorio, Pier Maria Lugli, Ludovico Quaroni, Michele Valori.
L'incarico per la progettazione della chiesa viene dato al solo Quaroni, membro più anziano del gruppo (Quaroni 1985, p. 62), che aveva già avuto occasione di sviluppare una specifica riflessione sul tema ecclesiale nel progetto della chiesa al Prenestino (1947, non realizzato) e nel concorso per Santa Maria Maggiore di Francavilla a Mare bandito dall'Unione Cattolica Artisti Italiani (1948, vinto e realizzato a partire dal 1951).
Il progetto della chiesa si sviluppa nel quadro del procedimento amministrativo per la realizzazione del borgo, autonomamente rispetto alle autorità ecclesiastiche. L'erezione della parrocchia avviene il 28 giugno 1953, su iniziativa dell'arcivescovo delle diocesi unite di Acerenza-Matera, mons. Vincenzo Cavalla, dopo la consegna delle prime 50 abitazioni del villaggio.
24/08/2011
Il nucleo originario del borgo prevede un’edificazione a bassa densità di case rurali uni o bi-familiari per circa 250 famiglie, dotate di spazi e vani per le attività rurali, ma anche adatte a uno stile di vita più moderno, aggregate senza dimenticare il rapporto di vicinato stabilitosi nei rioni antichi . La maglia insediativa, disposta organicamente seguendo le curve di livello dei versanti, prevede che il cuore identitario e morfologico del villaggio sia costituito dagli edifici comunitari posti alla sommità dell'altura centrale, di cui fa parte il centro parrocchiale. Mentre in un primo tempo si ipotizza che la chiesa e le opere pastorali condividano le volumetrie basse delle abitazioni, su indicazione della Cassa del Mezzogiorno viene richiesta una chiesa con un volume fortemente emergente, in grado di sottolineare la centralità fisica e simbolica del centro religioso del villaggio. Se dunque la prima interpretazione del tema proposta da Quaroni (1951) prevedeva un inserimento "domestico" della chiesa, nell'affinarsi dell'elaborazione la torre del tiburio presbiteriale viene ad assumere un ruolo paesaggistico più rilevante, determinando nella morfologia del villaggio un elemento di forte discontinuità verticale, riferimento visivo e mèta del percorso di avvicinamento dalla città storica di Matera. Secondo Manfredo Tafuri, che per primo ha dato un inquadramento critico dell'opera, la volontà di conferire alla chiesa una maggiore visibilità ha contribuito a introdurre «un punto di concentrazione simbolico», che ha portato «un'unità sintetica all'intero complesso edilizio» (Tafuri 1964, p. 114).
La diversità di opzioni sociali ed economiche che si manifesta durante l'edificazione del borgo rende controversa e incompleta l'attuazione del progetto. La realizzazione è effettuata in modo affrettato e parziale, con una certa approssimazione nelle tecniche costruttive, trascurando le attrezzature e gli spazi pubblici.
24/08/2011
Nei primi anni Cinquanta nulla lasciava presagire che, nell'arco di pochi lustri, l'ecclesiologia e la liturgia sarebbero state profondamente aggiornate dall'evento e dai documenti del Concilio Vaticano II. Ludovico Quaroni, nell'affrontare il tema progettuale, non propone una nuova ipotesi di assetto liturgico, ma intende offrire – grazie all'architettura e alla manipolazione della luce – una interpretazione personale, emozionale e popolare dello spazio liturgico post-tridentino tradizionale. Pochi anni prima , in riferimento al progetto inattuato per il Prenestino, Quaroni sottolineava la sua adesione di principio alle "regole" canoniche: «Accettai a priori tutti i dati ufficiali del committente: tutti quei dati che non possono essere nemmeno discussi, se non si riesce a trovare veramente che cosa debba essere la chiesa d'oggi» (Quaroni 1949). D'altra parte, il tema della chiesa consente di esprimere un concetto più ampio di religiosità: «permette, anzitutto, suggerisce, anzi (e più suggeriva, prima della riforma giovannea) un invito a curare gli aspetti spaziali dell'architettura, e a metterli in rapporto con ogni possibile interpretazione psicologica dello spirito religioso, dipendentemente e indipendentemente dal culto e dalla dottrina religiosa alla quale l'edificio dovrebbe riferirsi» (Quaroni 1985, p. 61). La settimana successiva all'inaugurazione della chiesa materana, Quaroni – invitato dal card. Giacomo Lercaro al Primo Congresso Nazionale di Architettura Sacra – affermava che «la liturgia è la possibilità di sviluppo plastico di un'idea religiosa» (Quaroni 1956, p. 32).
 
Nel passaggio tra le prime due bozze progettuali (Sàito 1991, pp. 16-19) e la realizzazione, emergono chiaramente alcune scelte liturgiche.
L'altare non solo è il polo di riferimento principale dell'aula e dell'assemblea, ma determina un proprio volume che si impone all'attenzione dei fedeli con una spazialità e una luminosità autonome: la torre-tiburio, un nitido prisma a pianta quadrata alto circa 20 metri, inonda di luce il crocefisso sospeso, il tabernacolo e la mensa, a fianco dei quali si dispone la sede del presidente.
 
Anche i pavimenti sottolineano la "alterità" del presbiterio:l'altare infatti «nasce» (Quaroni 1955, p. 40) da un tappeto di maioliche colorate, che riflettono la pioggia di luce del tiburio e definiscono un ambiente integralmente progettato e decorato come spazio eucaristico : il resto dell’aula, in penombra, è del tutto aniconico e acromatico. Secondo Bruno Zevi, il progetto ha schiacciato la navata per innalzare il corpo presbiteriale, determinando un «violentissimo contrasto», una «antitesi dimensionale cromatica e luminosa tra spazio dei devoti e spazio sacro» (Zevi 1971, p. 11).
L'assenza di spazi sussidiari assicura la forte coesione dell'aula, volume che converge prospetticamente e fisicamente sul pozzo di luce presbiteriale. I fedeli sono accompagnati da diversi elementi architettonici: il profilo del tetto che si apre a triangolo; la disposizione dei banchi accogliente e orientata all'altare mediante il corridoio triangolare; le sequenze lineari laterali degli apparecchi di illuminazione.
L'articolazione pre-conciliare dei poli liturgici non prevedeva un luogo specifico per la Parola (ambone), ma un allestimento adatto alla predicazione (pulpito). La soluzione adottata porta però alla realizzazione di un ambone ante litteram, rilevato di pochi gradini ed è collocato sulla soglia del presbiterio, affacciato e proteso verso l'aula, quasi un perno di articolazione del volume prismatico della torre e di quello prospettico dell'aula. Sul lato sinistro del presbiterio, un altare eucaristico sussidiario; sul lato destro – di sviluppo più contratto – la bussola di accesso alla sacrestia, che fa riscontro alla bussola di ingresso in facciata.
 
Fin dalla seconda bozza, il battistero viene ospitato in un volume autonomo in muratura tufacea come la torre, affacciato sul nartece aperto . Tale scelta è in continuità con alcune delle variegate sperimentazioni sul tema condotte negli anni Cinquanta (Longhi 2005) per segnalare la dimensione iniziatica del battesimo e la sua autonoma identità.
24/08/2011
Un aspetto decisivo del progetto è costituto dalla rilevanza artistica degli arredi liturgici: concepiti come spazi dialoganti, e non come mere suppellettili, sono realizzati secondo un disegno coerente e fortemente innovativo, utilizzando maiolica, legno intagliato ed elementi metallici.
Giorgio Quaroni, fratello del progettista, disegna e dipinge il crocifisso in legno appeso sull' altare; i fratelli Pietro e Andrea Cascella realizzano le opere in ceramica, Luciano Nioi i pannelli lignei intagliati e le lamine a sbalzo, Enrico Castelli le lampade e la scala metallica per la salita alla torre-tiburio. E' evidente come la collaborazione tra architetto e artisti nasca da una condivisione preliminare e profonda di intenti, esito di un percorso comune di riflessione, sperimentato anche in altre opere; anzi, in questo caso l'architetto è quasi committente diretto delle opere: la responsabilità, ricorda Quaroni stesso, era stata «assunta in proprio dall'architetto progettista» (Quaroni 1955, p. 31).
Secondo la rilettura critica di Tafuri «il senso della trascendenza è già calato nello spazio, nelle "cose", negli oggetti inerenti alle funzioni sacre: ed in questo senso sono senz'altro integrate alla concezione dell'interno le figurazioni di Pietro Cascella e di Giorgio Quaroni» (Tafuri 1964, p. 114). Anche Pina Ciampani aveva già rilevato tale intimo legame: «Per l'arredamento e la decorazione della chiesa è notevole osservare come l'architetto abbia saputo e potuto fondere in unità l'opera di diversi artisti. (…) Troppo spesso avviene invece, anche nelle migliori nuove chiese, che i singoli artisti, non guidati da un'idea comune e da una ricerca di unità e di religiosità dell'ambiente, facciano delle opere a sé stanti, senza alcun collegamento tra loro» (Ciampani 1959).
 
La vicenda della posa in opera delle opere d'arte, tuttavia, non è stata del tutto pacifica. Ricorda Quaroni: «per l'arredo della chiesa è stato gettato un grido d'allarme quando, arrivate le casse da Roma, il parroco andò a sbirciare le sculture che apparivano da qualche cassa aperta, correndo dal Vescovo perché aveva ravvisato, nei dettagli, qualcosa di blasfemo: il Vescovo telefonò alla Pontificia Commissione d'Arte Sacra, e questa spedì immediatamente un suo uomo di fiducia, che però disse di non poter dare nessun giudizio serio finché tutto non fosse stato montato e collocato in opera; cosa che fu fatta, dopodiché dovettero constatare, forse con rammarico, che non c'era altro che qualche cosa, e questo è il punto, che non faceva per il loro gusto» (Quaroni 1985, p. 147). Il nodo problematico principale è il riferimento all'arte "primitiva" espresso dalle opere (Casarola 2011), intesa dal parroco come estranea alla cultura cristiana, oltre ad alcuni evidenti difetti di "praticabilità" liturgica dovuta al dimensionamento o alla disagevole struttura degli arredi. La Pontificia Commissione interviene con un sopralluogo dei massimi responsabili, il cui resoconto è riportato nella rivista vaticana «Fede e Arte» (Alfano 1955): riconosciuto il valore architettonico, si esprimono critiche ad alcuni dettagli inutilmente enfatici e al neo-primitivismo degli arredi che viene in parte ritoccato con una policromia meno ostica. La chiesa viene comunque consacrata quattro mesi dopo, ad eccezione dell'altare maggiore, inidoneo alla celebrazione.
Le testimonianze epistolari di Andrea Cascella testimoniano come gli artisti stessi abbiano tentato di condividere la vita del luogo e il selvaggio contesto naturale: «Qui la luna è più grande del vero ed è colorata. Di giorno il paesaggio è bianco, giallo e nero. (…) Il mezzogiorno con il sole alto è allucinante, tutto brucia e si incendia e il sangue si fa pesante» (13 luglio 1955, cit. in Appella 1993, p. 149), o ancora, poche settimane prima dell'inaugurazione: «Partirò ancora per il vecchio Sud a ricercare qualche cosa metà pagano e metà cristiano, ma soprattutto unico e classico» (20 agosto 1955). D'altra parte, emerge un contatto schietto e alterno con il clero locale: durante l'esacerbarsi delle polemiche, Andrea Cascella scrive «Veramente i pretacci del posto sono un po' sbalorditi nel vedere le nostre cose dal vivo, ed ora che sono arrivate in luogo le trovano un po' "futuriste"» (20 giugno 1955); il clima del villaggio pare più equilibrato poche settimane dopo, forse dopo l'approfondimento della reciproca conoscenza: «Gioco a carte con il prete la sera e vinco regolarmente (gli ho vinto già più di cento messe)» (13 luglio 1955).
24/08/2011
Il progetto liturgico di Quaroni si colloca in quel vasto territorio di interpretazioni spaziali volte non a stravolgere il senso consolidato e tradizionale dei riti, bensì ad arricchirlo di dimensioni sensoriali, emozionali, estetiche, intime, cercando di volgere lo spontaneo senso religioso verso il suo sviluppo liturgico, in direzione né individualista né didascalica.
Il progetto di illuminazione naturale gioca un ruolo decisivo: grazie alle ampie vetrate nei timpani della torre-tiburio, la luce piove sul crocifisso e sull'altare, inondando l'area presbiteriale . Lo spazio orientato della navata è tenuto invece nella semioscurità, spezzata e ritmata solo dalle feritoie perimetrali – chiuse da vetrate policrome costituite da elementi tubolari – e da corpi illuminanti in rame e vetro, sospesi e a luce indiretta, progettati da Quaroni stesso. La vetrata alle spalle dell'assemblea consente un contatto visivo con il contesto paesaggistico: può essere aperta per una partecipazione più ampia, anche esterna, ma può anche essere oscurata, se necessario, con una tenda.
24/08/2011
L'edificio propone uno spazio fortemente coeso per l'assemblea dei fedeli, orientata verso un polo unico, costituito da altare e crocifisso ospitati dal presbiterio. Il lavoro di Quaroni si sviluppa alla ricerca di una integrazione spaziale e visiva tra uno spazio per i fedeli e uno spazio per il clero, alla ricerca di una coesione – ameno emotiva ed empatica, se non celebrativa – che sarà resa possibile solo dalla riforma liturgica e dalla ecclesiologia di comunione conciliari. Scrive Quaroni: «la divisione delle due zone, sacra e profana (ministri del culto e fedeli) che nelle due precedenti chiese [Prenestino e Francavilla] era stata ottenuta con una forte differenziazione delle navate, centrale e laterali, è qui ottenuta ancora con una differenziazione di altezza, la sala essendo bassa, leggermente innalzandosi mano mano che dall'ingresso ci si avvicina all'altar maggiore, mentre quest'ultimo è collocato, col pulpito e il candelabro per il cero pasquale, all'interno di uno spazio "separato" e molto più alto, il "sancta sanctorum", illuminato fortemente dall'alto e notevolmente decorato» (Quaroni 1985, p. 62).
Per quanto attiene il rapporto tra la Chiesa e il contesto sociale, da un lato le scelte tecniche e compositive dialogano in modo domestico con l'edilizia del borgo, sottolineando la comunanza di stili di vita e di destini tra la comunità cristiana e l'intera popolazione. Dall'altro, l'imponente e nitida torre-tiburio offre alla popolazione – trasferita in modo sostanzialmente coatto nel nuovo borgo e sradicata dal proprio passato abitativo – un nuovo polo identitario, una nuova meta, inedita, ma non estranea al paesaggio locale.
24/08/2011
La chiesa e gli annessi pastorali, progettati contestualmente con il borgo, si trovano nel cuore dell'insediamento, in prossimità degli altri servizi collettivi e alla confluenza dei tracciati viari principali. La casa canonica e le opere parrocchiali condividono il linguaggio architettonico, i materiali edilizi e l'impostazione complessiva delle altre abitazioni. L'aula della chiesa muove da tali comuni presupposti, ma trova il suo compimento nel prisma dell'alta torre-tiburio, che diventa il perno visivo dell'insediamento, coronato dalla croce metallica e dal castello laterale delle campane.
L'intera "facciata" della chiesa mostra – o lascia almeno intuire – la complessità delle relazioni affrontate da Quaroni: la vetrata a tutta parete connette l'aula con il contesto paesaggistico; la parete in muratura lapidea richiama il radicamento nella tradizione edilizia locale; il nitido volume in tufo del battistero àncora al suolo la vela sollevata che copre l'atrio, il cui nitore è delimitato dalla fascia maiolicata policroma frontale con i segni della Passione.
Le opere pastoraliavrebbero dovuto disporsi,, secondo il progetto iniziale solo in parte realizzato, in forma di "S", condividendo la trama aperta degli altri servizi collettivi.
Il progetto urbanistico complessivo originario non viene completato (mancano i quadranti nord-ovest e sud-est), alle case realizzate, si affiancano consistenti interventi successivi, che hanno portato la popolazione del villaggio a quasi 4000 abitanti.
24/08/2011
Le intuizioni di Quaroni hanno consentito un positivo passaggio verso la stagione post-conciliare: gli interventi di adeguamento liturgico hanno infatti riguardato solo la disposizione e la funzionalità degli arredi, senza rimettere in discussione la concezione spaziale unitaria dell'edificio.
La realizzazione del complesso aveva però subito numerose mediazioni e adattamenti rispetto al progetto di Quaroni: la fretta "politica" del completamento, alcune modifiche apportate dall'impresa all'impianto strutturale, la povertà dei materiali e l'instabilità geologica costituiscono le premesse di un processo di degrado veloce, che accomuna le sorti della chiesa a quelle del borgo. Fin dal 1968 si rendono necessari lavori di ripristino a cura dell’Ente Sviluppo Puglia e Lucania, ma la chiesa è gravemente danneggiata dal sisma del 23 novembre 1980. Dopo una tenace opera di rilancio pastorale e materiale della parrocchia (Casarola 2006 e 2011), i lavori di consolidamento si possono finalmente realizzare tra il 1991 e il 1995, a cura del Provveditorato alla Opere Pubbliche della Basilicata, su progetto di Mauro Saito e Giovanni Grande; nel 1995-1998 si ricostruiscono i locali di ministero pastorale.
La ritrovata attenzione verso l'architettura e l'allestimento liturgico dell'opera ha consentito di superare le prime affrettate opere di adeguamento alla riforma conciliare, che avevano comportato la realizzazione di una mensa di altare posticcia e lo spostamento del fonte presso il presbiterio.
 
Se le ragioni della conservazione strutturale e della liturgia impongono interventi di un certo rilievo, la chiesa – anticipando i tempi della tutela "giuridica" – entra presto nei manuali di storia dell'architettura e viene consacrata dalla critica, rendendo quindi ogni intervento delicato dal punto di vista interpretativo e progettuale.
Tra il 1996 e il 2001, per iniziativa del parroco don Egidio Casarola, una sequenza di contenuti adeguamenti ha consentito di dotare di rinnovata funzionalità liturgica gli arredi originari, nel rispetto della coerenza dell'insieme sentito anche Pietro Cascella. Si è ripristinato l'uso dell'altare maggiore, rendendolo adatto all'uso come mensa post-conciliare, senza alterare il disegno della base e il suo rapporto con lo spazio del presbiterio .Il tabernacolo è stato collocato sull’altare laterale, inalterato, che funge da custodia eucaristica .Il porta-cero pasquale è stato riassemblato e posto in posizione antipolare all’ambone . L’arredo del presbiterio è completato da una credenza fissa a muro (già dossale della prima sede) e da una nuova sede (che rifunzionalizza i pannelli laterali del primo confessionale); il supporto ceramico della balaustra (già rimossa) funge ora da sostegno per la nuova croce astile.Resta inutilizzata la piccola cantoria lignea, inidonea funzionalmente . Il fonte battesimale è stato riportato nel battistero, ricomponendo l'insieme originario e arricchendolo con il tabernacolo dell’altare laterale; lo spazio, tuttavia, è inadatto alle attuali celebrazioni comunitarie post-conciliari, per le quali si utilizza nell'aula liturgica principale un fonte mobile in ceramica decorata. Nell'ultimo decennio è stato lanciato un ampio programma iconografico, per la chiesa e il suo contesto. Nell'aula è stata allestita una nuova Via crucis figurativa (la precedente riportava solo la numerazione delle stazioni), di Pasquale Santoro. Negli spazi esterni - liberati da inidonee e dannose piantumazioni e ripavimentati rispettando la trama relazionale tra la chiesa e il villaggio - sono installate opere di Franco Di Pede (I quattro fiumi, 2001)], Santoro (Invocazione, 2001) , Alberto Allegri (Viaggio Italia, "L", 2005), Mirella Bentivoglio (Mater, 2007), Bruno Aller (Matera Mater, 2007), Roberto Marino (La meridiana, 2007) e Nino Cassani (Il Rotante, 2007).
A ideale completamento dei primi cinquant'anni di servizio della chiesa, è stato realizzato nel 2005 il portale bronzeo, ultima opera dello scultore Floriano Bodini (1933-2005), protagonista dell'arte sacra del secondo Novecento , opera commentata da mons. Carlo Chenis, allora segretario della Pontificia commissione per i Beni culturali della Chiesa (Chenis 2006).
Gli spazi per il ministero pastorale e la cappella feriale ospitano collezioni di opere di Pasquale Santorio e Floriano Bodini.
Da ultimo, nell'aprile 2011 è stato posto in opera un bassorilievo in bronzo dorato di Floriano Bodini, donato da un fedele, che commemora il ventennale della visita di Giovanni Paolo II alle chiese di Basilicata (27-28 aprile 1991). L’opera è posta nello spazio a fianco della vetrata di fondo, in cui sono ospitate le tradizionali statue della Vergine e del Santo titolare.

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