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 Home page - Una chiesa al mese - Arcidiocesi di Milano, chiesa di San Giuseppe - Scheda completa 
San Giuseppe
Monza, via Guerrazzi 30
02/08/2011
La parrocchia di San Giuseppe viene istituita dal card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, con decreto del 19 marzo 1961. La cura pastorale viene affidata a don Giuseppe Arosio, che già dal 1959 esercitava il proprio ministero pastorale in una sede provvisoria, dipendenza della parrocchia di San Rocco.
La costruzione della comunità e del complesso parrocchiale procedono passo a passo nei successivi quindici anni, fino alla solenne liturgia di consacrazione della chiesa, presieduta dal card. Giovanni Colombo il 10 giugno 1976.
La scelta del progettista e l'impostazione della filosofia complessiva del progetto sono accuratamente preparate, con viaggi e incontri: fin dagli anni Cinquanta don Arosio aveva infatti visitato la chiesa di Ronchamp con il teologo Pino Colombo, e aveva coltivato il suo interesse per l'architettura con itinerari periodici attraverso le chiese nuove di Svizzera, Austria e Germania, accompagnato da amici e parrocchiani, consigliato anche dal teologo don Luigi Serenthà.
Nel 1970, maturati i tempi per la costruzione della definitiva sede parrocchiale, viene formulato un concorso di idee, a cui sono invitati cinque progettisti: alcuni tecnici locali che già avevano collaborato con la parrocchia e il progettista zurighese Justus Dahinden, protagonista del dibattito sulla riforma liturgica e sull'architettura negli anni del Concilio. Dopo aver rifiutato l'offerta di un centro parrocchiale modulare prefabbricato, la comunità sceglie la proposta di Dahinden «perché pur senza eccedere in monumentalismi, affermava l'importanza della chiesa, radicata nella tradizione lombarda (con il rivestimento in mattoni fatti a mano) eppur con linee nette moderne; famigliare come una casa e nobile come una basilica» (Arosio 1991, p. 16). L'opera viene interamente finanziata dall'auto-tassazione delle circa 1000 famiglie della parrocchia.
02/08/2011
Il contesto urbano. Il quartiere di San Giuseppe si trova a sud-ovest del centro di Monza, compreso tra due importanti direttrici viarie tra Milano e la Brianza. La prima urbanizzazione dell'area è precedente la II Guerra Mondiale, ma la nuova chiesa viene realizzata quarant'anni dopo come punto di riferimento per una fase di rinnovata espansione edilizia, in un'area priva di altri elementi identitari: la parrocchia stessa assume dunque la funzione di promuovere la qualificazione di spazi urbani nuovi. Attualmente il quartiere è caratterizzato da un'edilizia molto eterogenea e frammentaria, che testimonia le stratificazioni storiche a partire dalla prima industrializzazione: il tessuto è rado, costituito da palazzine di pochi piani fuori terra, villini storici e alcuni grossi complessi edilizi.
Il contesto ecclesiale
La parrocchia viene istituita in un momento di forte richiesta di nuove opere per la cura pastorale nei quartieri di espansione. Tale sforzo costruttivo trova il suo apogeo proprio nel periodo della prima sperimentazione successiva al Concilio Vaticano II, in cui le urgenze pastorali e sociali si associano all'esigenza dell'attuazione della riforma liturgica. L'opera di infrastrutturazione religiosa delle vaste aree di recente urbanizzazione è occasione di ricerca tipologica, anche attraverso sperimentazioni sul tema della prefabbricazione e della standardizzazione (Brivio 1994). Convivono due atteggiamenti estremi: da un lato il tentativo di avvicinare la Chiesa alla popolazione con scelte legate ai temi della povertà evangelica, condividendo in modo positivo le teologie della secolarizzazione; dall'altro, non mancano architetture di ambizioni identitarie ed espressive. La chiamata a Milano di Dahinden alimenta un filone di studio innovativo (Crippa 1994) e sensibile ai temi liturgici, pur senza rinunciare a un inserimento significativo nel paesaggio urbano; nelle parole del parroco-committente, l'aggiornamento funzionale doveva declinarsi con le «idee che si facevano incontro circa la non monumentalità, il non trionfalismo, l'essere casa di Dio tra le case degli uomini, senza però confondersi o mimetizzarsi» (Arosio 1991, p. 16).
Il contesto progettuale. Justus Dahinden condivide, nei primi anni Settanta, la ricerca progettuale promossa nell'Europa centrale da Walter Fördorer e da Gottfried Böhm, ossia il tentativo di fare una sintesi tra la liturgia rinnovata, l'ecclesiologia di comunione e la monumentalità espressiva della cultura architettonica mitteleuropea. Elementi comuni sono il tentativo di "plasmare" uno spazio liturgico al tempo stesso unitario e articolato sui suoi poli fondativi, con superfici inclinate, geometrie asimmetriche, spazi quasi scultorei modellati attorno ad arredi liturgici imponenti, che con la loro presenza catalizzano l'attenzione dell'assemblea celebrante. Nella definizione di padre Fréderic Debuyst (2000), tale atteggiamento "lirico" in Dahinden evolve verso una dimensione domestica. Resta tuttavia presente nel pensiero del progettista l'intuizione che la «sculptural totality» sia uno degli strumenti per ospitare la comunità radunata come una famiglia nell'azione liturgica, attorno alle tavole della Parola e del banchetto eucaristico (Dahinden 1967, p. 26). L'articolazione complessa della chiesa, al tempo stesso "luogo" e "percorso", deve rispondere a una visione dinamica della liturgia, fondata sull'ascolto, sulla comunione e sul raccoglimento (Dahinden 1973, p. 77).
 
09/09/2011
 Lo spazio interno della chiesa, secondo il progettista, «nasce dalle esigenze della liturgia più che da forme geometriche precostituite o tradizionali: questo evita l'abitudinarietà e favorisce la creatività dello spazio» (Derossi, Dahinden 2000, p. 15). Nel messaggio inviato da Dahinden per la dedicazione di San Giuseppe, viene rimarcato come la chiesa cerchi di rispondere alle diverse esigenze: «l'annunzio della parola, la celebrazione del convito, la preghiera personale» (Dahinden 1991, p. 29).
 
L'assetto planimetrico dell'aula di culto è relativamente elementare: i poli liturgici sono addensati – ma non sovrapposti, né confusi – su una pedana absidale, articolata su più livelli e profili, con una sapiente trama di riferimenti visivi e spaziali non legati né da rigide simmetrie, né da allineamenti forzati. Tale equilibrio tra unione e distinzione dei poli è un esito positivo del progetto originario, ma è stato approfondito e specificato con interventi successivi di affinamento.
 
Il centro dello spazio liturgico è certamente il volume imponente dell'altare: il valore plastico dell'insieme garantisce il necessario richiamo alla dimensione sacrificale dell'Eucarestia, mentre la citazione delle gambe del tavolo è la traccia memoriale della dimensione conviviale della mensa del banchetto, della tavola apparecchiata.
Coerentemente con gli anni in cui è stata realizzata la chiesa, l'ambone non assumeva ancora un rilievo architettonico particolare: evidente però il richiamo all'unitarietà di disegno con l'altare, associata alla definizione di uno spazio autonomo.
La sede del presidente è alle spalle di altare e ambone, disallineata prospetticamente rispetto agli altri poli liturgici. Al di sopra, il crocifisso.
 
Il tabernacolo trova un proprio specifico luogo nello spazio absidale, alle spalle dell' altare: pur evitando l'allineamento con la mensa, viene tuttavia stabilito un legame visivo e spaziale tra i due poli eucaristici.Lo spazio della custodia eucaristica ha un dimensionamento intimo, appartato, ma riceve una propria specifica illuminazione dall'alto, grazie al pozzo di luce in cui è sospeso; lo spazio stesso è parte di una complessa articolazione absidale, ma se ne distingue grazie al profilo leggermente cuspidato e al diverso trattamento dei materiali. Legate al clima culturale sperimentale dell'immediato post-concilio sono le scelte di proporre pareti trasparenti e di "sospendere" il tabernacolo nel pozzo di luce, inserendolo in uno scatolato metallico smaltato in arancione.
Il battistero riprende i materiali e le soluzioni formali di altare e ambone: in una solida pedana lignea è incassato un catino di rame, alimentato da uno zampillo perennemente attivo; integrato nel medesimo supporto troviamo il cero pasquale. Il fonte è collocato su una pedana ai piedi del presbiterio, in posizione prossima all'ambone, garantendo una visibilità ottimale da parte dell'assemblea, ma al tempo stesso la necessaria riconoscibilità rispetto agli altri poli liturgici.  L'acqua perennemente viva è segno memoriale del battesimo ed è lo strumento per far "sentire il silenzio" nei momenti in cui la chiesa è usata per la preghiera personale.
 
L'assemblea, dimensionata per circa 500 fedeli, è ordinatamente disposta di fronte alle pedane absidali e ai poli liturgici, ma si articola anche diagonalmente negli spazi laterali prossimi all'altare, al tabernacolo e al battistero. La "partecipazione" si traduce in questo caso non solo in una forma assembleare geometricamente avvolgente, ma anche in una ricerca progettuale di tipo percettivo – quasi psicologico – sullo spazio, sulle fonti luminose indirette, sui materiali, sulla trama delle relazioni visive: per i progettisti «lo spazio della chiesa, sottolineato nei suoi punti celebrativi dalla luce, agisce con intensità sull'individuo e sulla assemblea radunata tutta attorno all'altare; esso è dunque interiorizzante e rassicurante».
Lo spazio per il coro e la macchina dell'organo e sono stati progettati fin dall'inizio come elementi integrati nell'architettura dell'aula e dell'assemblea, come pure i vani destinati a confessionale, posti tra la sacrestia e il coro.
 
Al fondo del lato destro della navata è sistemata un'area per le devozioni: a fianco delle uniche finestre aperte verso l'esterno sono collocate le statue della Vergine e del santo titolare della chiesa, San Giuseppe, allestite come spazio familiare e di calore, con stuoie, candele e un leggio a supporto della Parola del giorno, per il raccoglimento personale.
L'accesso all'assemblea avviene da due porte, entrambe laterali (una verso l'area battesimale, l'altra verso la custodia eucaristica) ma dotate di una propria identità architettonica, prevedendo anche spazi progettati per l'informazione e l'accoglienza.
22/08/2011
Nell'idea del progettista, certamente condizionato dalla cultura riformata mitteleuropea e dal dibattito conciliare, la decorazione della chiesa è affidata alla luce naturale e a un'unitarietà di materiali che mal sopporta aggiunte o sovrapposizioni: Dahinden aveva previsto però l'uso di stendardi liturgici presso l'ambone  per sottolineare i tempi forti e i temi dell'anno (Una chiesa 1991, p. 42). Tale sobrietà complessiva ci pare ulteriormente sottolineata da un "arredo acustico", ossia il tintinnio dello zampillo del fonte battesimale.
Si può tuttavia parlare di "programma iconografico" per i principali poli liturgici, realizzati secondo un disegno e materiali uniformi: la mensa, il leggio e la base del catino sono realizzati con possenti travi lignee intrecciate, a raffigurare in modo simbolico ed essenziale la forza che viene dalla coesione della comunità (Brambilla 1991, p. 54) . Altro elemento iconografico saliente è il colore vivace del tabernacolo, «linea rossa» che discende nello spazio liturgico dall'alto e che invita a entrare nel mistero (Brambilla 1991, p. 52) .
L'unica opera d'arte espressamente realizzata e collocata nella chiesa iniziale è la Deposizione collocata tra i due confessionali, opera del maestro Egino Weinert, uno dei più noti e versatili artisti attivi nell'arte sacra del Dopoguerra e del Concilio. La credenza stabile è arricchita da un bassorilievo in pietra con l'Ultima cena.  La Via Crucis è segnata da simboli numerati sulla parete di fondo dell'aula .
22/08/2011
Il progetto della luce – che integra illuminazione naturale e artificiale – e la dimensione tattile dei materiali sono fattori decisivi per la costruzione di un ambiente accogliente al tempo stesso per l'individuo e per la comunità. Nella ricerca progettuale di Dahinden, le implicazioni percettive entrano in dialogo profondo con la liturgia: «lo spazio-chiesa non deve solo offrire al credente un luogo tranquillo e protetto, ma deve anche accogliere una valenza psichica dell'architettura sacra che abbraccia l'uomo nella sua totalità» (Derossi, Dahinden 2000).
Tre ampi lucernai illuminano i poli liturgici (in particolare l'ampia mensa imbandita con la tovaglia candida); un pozzo di luce è orientato direttamente sopra lo spazio della custodia eucaristica. L'elemento più sorprendente è però offerto dalla luce radente che piove dai lucernai perimetrali sulle pareti d'ambito dell'aula, inclinate e flesse ad avvolgere in un unico spazio i fedeli .
Il rivestimento ligneo delle superfici inclinate e le partiture laterizie delle pareti verticali rendono l'ambiente caldo e domestico, sebbene le scelte formali accentuatamente poligonali rafforzano l'alterità dello spazio liturgico rispetto alla quotidianità circostante. Il calore degli interni in legno può essere considerato una delle cifre distintive dell'architettura di Dahinden, in particolare nelle chiese più note della sua maturità (Witikon, 1965, e Wildegg, 1969).
22/08/2011
Il complesso parrocchiale è esplicitamente orientato da un progetto pastorale globale, teso a sottolineare la dimensione dell'incontro, della vita comunitaria che necessariamente deve associarsi all'azione liturgica e alla preghiera personale. La convivialità degli spazi di aggregazione è complementare quindi alla ricerca sulla dimensione spirituale dell'aula liturgica.
Se la geometria dell'insieme richiama una dimensione protettiva e avvolgente, le numerose e irregolari bucature, gli scorci visivi, i passaggi, le improvvise superfici arrotondate invitano all'ingresso, o almeno a un primo "affaccio" incuriosito . Per Dahinden (1992), nonostante la «qualità introversa» dello spazio per il servizio sacro, «la capacità di isolare non deve creare una separazione "drastica", bensì proteggere e ispirare fiducia». La forma delle opere pastorali  invita a un duplice movimento: da un lato per arrivare all'aula liturgica si deve percorrere un percorso verso il "centro", che deve essere anche itinerario mistagogico; dall'altro, il cuore della chiesa non è solo punto di arrivo, ma anche luogo di partenza verso la missione (Brambilla 1991, pp. 49 e 50).
Il primo sagrato  accoglie le funzioni più pubbliche, come l'ingresso all'ufficio parrocchiale e il punto di informazione alla base della torre. Il secondo sagrato è invece definito dallo spazio trasparente del portico (inizialmente aperto) e dall'arena.
Le sale per riunioni, conferenze, attività di gruppo e ricreative sono invece ospitate nel basamento del complesso: un'ampia fascia finestrata, protetta dagli spioventi in rame dell'aula liturgica, dà luce indiretta e calda ai diversi spazi, che costituiscono un'ampia e funzionale piattaforma di servizio per ogni iniziativa .
22/08/2011
Il volume dell'aula liturgica non si erge stereometricamente isolato, ma è avvolto dalla casa parrocchiale, dalla sequenza dei cortili e degli spazi aperti, quasi a ricreare una dimensione domestica di "borgo", con calde pareti laterizie e robusti serramenti il legno. La crescita della vegetazione attorno al complesso ha quasi del tutto mascherato gli edifici, ma restano emergenti il volume della torre campanaria (dotata di campane di Valduggia nel 1979) e gli ampi spioventi in rame ossidato delle pareti laterali della chiesa. Di fatto, i diversi sagrati del complesso sono gli unici spazi aperti progettati del quartiere e, nonostante l'esigenza di sicurezza, restano di fatto luoghi pubblici. I campi sportivi creano una vasta area di rispetto verso ovest, abbondantemente piantumata con alberi ad alto fusto e offerta all'uso collettivo degli abitanti
 
22/08/2011
La profondità del ragionamento del committente e dell'architetto, la condivisione del progetto da parte della comunità e la qualità degli spazi costruiti hanno consentito al complesso parrocchiale di mantenere la propria funzionalità e il proprio fascino. La versatilità degli spazi ha reso possibili interventi di aggiornamento e di adattamento, che non hanno tuttavia richiesto interventi pesanti, né hanno mortificato l'idea iniziale; fondamentale la corretta e continua manutenzione ordinaria.
Alcuni interventi sono stati effettuati nel 2000, in occasione della sostituzione del manto di moquette con un pavimento lapideo: la pedana absidale (che non possiamo definire solo "presbiteriale", in quanto vi trovano posto anche decine di fedeli) è stata riarticolata, rendendo ancor più valide le intuizioni iniziali del progetto. Il margine retto della pedana è stato spezzato, in modo da rendere autonoma e riconoscibile la base del fonte battesimale e rispettando il principio liturgico di non porre il luogo del battesimo sul presbiterio insieme all'altare. Nel contempo, anche l'ambone – raddoppiato nella sua consistenza materiale e reso più evidente – ha ricevuto una propria pedana. La forma quadrata della mensa è stata rafforzata da una piattaforma isolata per l'altare . La sede del presidente della celebrazione è stata infine dotata di un leggio stabile e permanente, a qualificare ulteriormente la valenza di luogo liturgico – e non di semplice arredo – della sede stessa. Si deve inoltre rimarcare come la singolare monumentalità dell'altare-tavolo sia rispettata dagli allestimenti liturgici, che lasciano libera la lettura della mensa e scelgono di appoggiare sulla pedana i fiori e i ceri .
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