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Giovanni Michelucci e la Chiesa italiana

Stefano Sodi (a cura di)

» Leggi l'intervista al prof. Marco Romano
"Alla ricerca della simbolicità perduta"

 
24/04/2013
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24/04/2013
Titolo: “Giovanni Michelucci e la Chiesa italiana”
Autore: Stefano Sodi (a cura di)
Editore: San Paolo (2009)
Numero pagine: 198
Prezzo: 29,00 euro
24/04/2013
Giovanni Michelucci (Pistoia 2 gennaio 1891 - Firenze 31 dicembre 1990) è stato tra i maggiori architetti italiani del '900. Tra le sue numerose opere, spiccano anche 26 progetti di edifici di carattere religioso. Tra i 17 progetti che sono stati tradotti in costruzioni, vi sono alcune tra le più importanti chiese dell'età contemporanea: S. Giovanni Battista a Campi Bisenzio (la “chiesa dell'autostrada”, presso Firenze), la chiesa dell'Immacolata Concezione della Vergine a Longarone (memoriale delle vittime dell'esondazione del Vajont, in provincia di Bolzano). Il volume racconta i percorsi, a volte tortuosi e tormentati, che hanno portato alle diverse opere firmate da Michelucci in campo ecclesiale: i rapporti a volte non facili con i committenti e con le comunità parrocchiali coinvolte, ma anche i ripensamenti del progettista che, di fronte alla fede, si pone con atteggiamento problematico. E tuttavia si lascia convincere, per esempio dall'afflato di una figura come Giovanni XXIII, e s'impegna per compiere nel migliore dei modi opere che siano adeguate alla pratica liturgica ma anche dense di significato e di valore simbolico, quali erano le chiese medievali, pur essendo progettate con sensibilità e con tecniche decisamente contemporanee.
24/04/2013
Stefano Sodi, curatore e coautore del volume, è ordinario di Storia della Chiesa presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose “Niccolò Stenone” di Pisa nonché docente liceale. Saggista, scrive tra l'altro per le riviste “Studi Storici”, “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, “Bioetica e Società”. Ha pubblicato diversi volumi di didattica e un manuale di storia per licei.
Il volume raccoglie anche saggi di:
Giuseppe Battelli, ordinario di Storia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Trieste e studioso del cattolicesimo italiano nei secoli XIX e XX, autore di diversi volumi tra cui “Giacomo Lercaro. Lettere dal Concilio (1962-1965)”, “Lorenzo Milani. Alla mamma (1943 – 1967)”.
Alssandro Melis, architetto, svolge attività didattica presso la Facoltà di Ingegneria di Pisa e presso la School of Arts, Culture and Environment di Edimburgo. Autore di diversi volumi monografici e articoli su riviste specializzate. Fondatore dello studio di progettazione “Heliopolis 21”.
Ilaria Fruzzetti, architetto, socia dello studio “Heliopolis 21”. I suoi lavori sono stati esposti nella X Biennale di Architettura di Venezia e pubblicati in diverse riviste di settore. Ha curato mostre ed eventi in Svizzera e in Scozia.
Il volume ha una Presentazione di Corrado Marcetti, direttore della Fondazione Michelucci di Fiesole, e una Introduzione di S.E. Mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno e architetto.
24/04/2013
«... Sono tanto alieno dal desiderare che l'architettura sacra ripieghi stancamente su forme tradizionali, che ho dato sempre parere contrario a ogni riesumazione stilistica e mi sono vivamente rallegrato tutte le volte che ho visto tentare nuove vie. Anche l'unita relazione al concorso di Pisa glie ne darà una prova. È però evidente che il cammino dei pionieri è più difficile di quello di chi segue i vecchi sentieri e che la libertà, cui ogni artista ha pieno diritto, soffre non lievi limitazioni quando l'artista varca la soglia del tempio. Qui intervengono esigenze pratiche e prescrizioni liturgiche che non si possono contravvenire senza compromettere la funzionalità dell'edificio e, su ogni altra necessità, domina quella che la costruzione sacra si differenzi da ogni altra fabbrica, per lo spirito diverso che deve animarne le forme. Iseguaci delle tradizioni hanno numerose forme che vorrei chiamare “prefabbricate” e che purtroppo in non pochi casi favoriscono la pigrizia dei deboli: i pionieri hanno da creare un nuovo linguaggio che sarà favorevolmente accolto appena abbia raggiunto la bellezza e l'espressività di quelli antichi. Non tema dunque nessuna prevaricazione e, tenendo conto di quelle mie osservazioni che non contrastano con la sua sensibilità, attenda con piena fiducia al nuovo progetto e mi mandi presto la cosa bella che so di potermi attendere da Lei». (Dalla lettera di S. E. Mons. Giovanni Costantini, all'epoca Presidente della Pontificia Commissione Centrale per l'Arte Sacra in Italia, inviata a Michelucci in data 29/8/1947 con riferimento all'iter allora in corso per la progettazione della chiesa delle Sante Maria e Tecla in località La Vergine a Pistoia, poi costruita tra il 1955 e il 1956 – citazione da pag. 124 del libro).
24/04/2013
L'architettura non è solo quel che risulta alla fine della costruzione: è tutto il processo ideativo e il minuzioso intreccio di dialoghi che coinvolge, insieme col progettista, anzitutto i committenti, la comunità destinataria dell'edificio e le tante altre figure, professionali e non, che all'opera partecipano. Ed è un'avventura umana profonda, quando la complessità che vi sta alla radice è ben compresa dagli attori di questo processo. Nella sua “presentazione”, Corrado Marcetti evidenzia in particolare l'attenzione che Michelucci pose nel sollecitare una condivisione del suo progettare. Grazie a questo, le tante chiese da lui concepite, pur diverse tra loro, pur espresse con linguaggio architettonico decisamente contemporaneo – non frutto di mimesi storicistiche – appaiono effettivamente per quel che sono: inconfondibilmente chiese. Questo aspetto sembra cogliere mons. Simone Giusti nel suo contributo introduttivo al volume, in cui ricorda come l'edificio chiesa non sia solo un “contenitore di funzioni”, ma sia «realtà comunicante, un luogo narrante la divinità, un ambiente sacro che abbisogna di forme espressive inerenti e consequenziali al messaggio che l'edificio intende comunicare».
Nel lungo periodo in cui Michelucci principalmente operò, in particolare negli anni Sessanta, si sentiva con forza il tema della chiesa intesa quale “casa degli uomini” e questo ha portato molti a preferire architetture in cui la peculiarità dell'edificio di culto, con la sua intrinseca carica di simbolicità, andava a volte perduta. Nella successione di progetti firmati da Michelucci si nota invece una maturazione che porta a compaginare i due aspetti: quello di chiesa-casa e quello della eccezionalità dell'edificio.
E questo anche se, come ricorda Stefano Sodi nel suo preambolo, «Michelucci ha sempre affermato di non essere un credente». Per cui Giuseppe Battelli parla di «Rappresentazione del sacro in una prospettiva laica».
«Nelle chiese – ha scritto Michelucci in una riflessione del 1987, quando era ormai prossimo alla conclusione del suo cammino terreno – più che il senso del sacro ho cercato di trasmettere il senso della speranza».
Per quanto avesse, già dai primi decenni del XX secolo, costruito piccoli edifici cultuali, è in particolare dagli anni '40 che fiorisce la progettazione di chiese firmate dall'architetto pistoiese.
 
Con incarico del '46 e termine dei lavori nel '53, la sua prima chiesa importante è quella dei Santi Pietro e Gerolamo a Collina di Pontelungo (Pistoia).
 
Un progetto che Michelucci individua come segno di svolta: abituato, suo malgrado, alla retorica magniloquente del fascismo, qui egli la ripudia «per andare a un discorso popolare, elementare, in cui l'intervento dell'architetto sparisse» per rivelarsi invece come traccia di una vita sociale vissuta. Questa chiesa infatti prende le forme della cascina e le rielabora e nobilita, ma certo nei materiali e nella configurazione generale non vi si contrappone.
Il risultato fu deludente, perché la comunità non desiderava una chiesa povera come le sue case: voleva nella chiesa un edificio che si elevasse al di sopra del resto del costruito, per essere sì casa di tutti, ma più nobile di quanto la quotidianità offrisse.
Forse da tale esperienza nasce un ripensamento: fatto sta che il progetto immediatamente successivo, quello della chiesa delle Sante Maria e Tecla in località “La Vergine” a Pistoia riprende alcune tematiche storicamente fondate pur reinterpretandole. Ed è frutto di uno scambio intenso di opinioni con il committente.
 
Nello stesso periodo Michelucci è chiamato dal card. Lercaro a partecipare al Congresso Nazionale di Architettura Sacra, tenutosi a Bologna nel 1955, proprio per dargli la possibilità di mettere a fuoco il tema che gli stava caro: come la chiesa non dovesse essere frutto di imponenza, ma capace di portare bellezza là dove c'è povertà.
Nel papato di Giovanni XXIII Michelucci ravvisò tale importanza che lo ritenne un nuovo inizio per la propria vita, sotto il segno «della giustificazione umana spirituale e corale del mio operare», come ebbe a scrivere.
A quegli anni risale anche l'incontro con don Lorenzo Milani, che invitò proprio Michelucci a redigere la prefazione della sua “Lettera a una professoressa”.
E da questo momento in poi Michelucci accentuerà il suo desiderio di dialogo con le comunità alle quali i suoi progetti sono riservati.
Ovviamente il progettista è fortemente influenzato dai committenti che gli si rivolgono. Significativa è la realizzazione della chiesa di Santa Maria a Larderello, del periodo 1956-58.
 
Qui il committente, la Società Larderello che doveva trasformare un centro industriale destinato allo sfruttamento di soffioni boraciferi in un centro abitato, gli offrì dovizia di mezzi e gli richiese una “architettura fantastica” che si distaccasse dall'atmosfera del preesistente impianto industriale. Ecco che nacque un edificio imponente, seppure leggero grazie alla trama sottile delle pareti traforate. Una chiesa molto apprezzata dalla popolazione proprio per la sua monumentalità. Per lo stesso motivo questo progetto non soddisfò completamente il suo stesso autore, che al proposito si espresse in termini dubitativi, preferendo egli i “luoghi di vita” alle strutture di grande rilevanza formale: come spiega Stefano Sodi nel saggio in cui esamina l'evolversi dei rapporti tra Michelucci e i suoi committenti. Coi quali peraltro ebbe solitamente contatti più fluidi e tranquilli che con le comunità.
Un posto particolare nell'opera michelucciana occupa la chiesa di Longarone, realizzata tra il 1966, anno dell'incarico, e il 1983, anno in cui fu consacrata (i lavori cominciarono nel 1975).
 
Questa chiesa era intesa a sostituire quella antica, distrutta, col resto del villaggio, dall'esondazione del Vajont, avvenuta il 9 ottobre del 1963. Oltre duemila persone soccombettero a causa della massa d'acqua che sommerse la valle: pertanto la nuova chiesa era anche intesa quale memoriale del dramma e l'incarico fu affidato a Michelucci dall'Ises, l'istituto pubblico incaricato della ricostruzione. Il progetto fu avversato dalla comunità locale: questa preferiva infatti un progetto più consono a quanto c'era prima e alle architetture della vallata. Il dibattito fu lungo, interessò a tratti l'opinione pubblica nazionale e molteplici furono i tentativi di sottrarre l'incarico a Michelucci.
Tuttavia la fiducia che in lui riponevano le autorità statali portò, alla fine, alla realizzazione del suo progetto, dal chiaro valore simbolico e di memoriale.
Risalta in questa opera il desiderio di unire la significatività del progetto con il senso della comunità. Vi sono due parti ad anfiteatro, la chiesa stessa e, sopra questa, una terrazza da cui si contempla la porzione di monte da cui precipitò la massa d'acqua. Tale terrazza può fungere da piazza, teatro o da chiesa a cielo aperto. La conformazione avvolgente a spirale dell'edificio ricorda il vorticare dell'acqua. «L'ascesa al Golgota – scrive Alessandro Melissi materializza in uno spazio liturgico sovrapposto all'aula interna, che però non riuscirà a trasmettere ai fedeli la forza espressiva della metafora». Michelucci ravvisava in questo tipo di spazio un luogo di incontro sociale, convinto com'era, come scrive Melis, «che gli uomini possano trovare dentro di sé e nelle relazioni con gli altri le risposte ai problemi, tanto della società, quanto dell'anima».
Forse il motivo principale che portò la committenza pubblica a insistere sul progetto Michelucci, risiede nella fama straordinaria acquisita nei primi anni Sessanta grazie a quello che resta il suo capolavoro assoluto: la chiesa di San Giovani Battista a Campi Bisenzio, la “chiesa dell'autostrada”.
 
L'idea ispiratrice è quella dell'edificio-tenda, che ricorda l'Esodo e dà luogo sia all'interno, sia all'esterno, a un continuo intreccio di movimenti dinamici. In questo modo si trascende la forma e si dà luogo a una «metafora, allo stesso tempo onirica e utopica». Come scrisse Michelucci: «nessun luogo è povero se è abitato da un angelo».
I pilastri si ramificano in strutture arboree mentre le coperture che si distendono quali vele fanno perdere la percezione delle dimensioni: all'interno, quel che era “tenda” diventa anche “foresta”.
Qui la chiesa si rivela come un organismo, composto da diversi aspetti, segnati da diversi materiali (la pietra nelle pareti esterne, il calcestruzzo a vista all'interno, le coperture in rame), perfettamente integrati in una struttura unitaria.
E su questo stesso cammino “organico” si svolgono anche i progetti del santuario della Beata Vergine della Consolazione a Borgo Maggiore in San Marino (1961-67) e della chiesa di San Giovanni Battista di Arzignano.
 
Con figurazioni diverse, esse esprimo i progetti maturi, in cui la forma diventa annuncio coinvolgente, capace di rivestirsi della forza del simbolo.
29/04/2013
Il particolare interesse di quest'opera risiede nel fatto che consente di conoscere in sintesi tutta l'opera di Michelucci, nei suoi diversi aspetti. I progetti, eseguiti e non eseguiti, sono mostrati attraverso schede sistematiche corredate da immagini, commentate da Ilaria Fruzzetti. Ma oltre alla doviziosa descrizione architettonica dei progetti, il lettore segue, grazie ai diversi saggi che formano il volume, alle spiegazioni contenute nelle schede e all'epistolario (curato anch'esso dalla Fruzzetti), i molteplici problemi, le ansie, le perplessità, i ripensamenti che attraversano la mente del progettista e dei committenti. Si apprezza l'importanza del dialogo, e si apprezza come, per quanto l'architettura sia sempre frutto di un singolo, come del resto qualsiasi altra forma d'arte, essa derivi il suo essere da un processo più ampio e complesso, nel quale interagisce il più vasto scenario entro il quale ogni singola opera si colloca – almeno laddove ad agire sia un progettista serio, capac di seguire gli eventi in modo critico e non superficiale. Non a caso nel volume si evidenzia in più punti l'importanza che ebbero per Michelucci le suggestioni derivanti dal papato di Giovanni XXIII e i dialoghi con don Milani – oltre che con i tanti committenti con cui ebbe a che fare. Poiché il progettista pistoiese è uno dei più importanti esponenti dell'architettura italiana contemporanea, conoscerlo da vicino – come questo volume consente di fare – rappresenta una via per ripensare a quanto siano vaste e diverse tra loro le suggestioni – e quindi le responsabilità – che concorrono alla buona riuscita di un'opera architettonica.
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